Un affresco corale che emoziona e coinvolge, invitando il lettore a riscoprire, attraverso le vicende di una famiglia, le radici della nostra storia recente.
ANUPSA FOCUS
un luogo mediatico di incontro informativo, di discussione e di divulgazione ove presentare le notizie e gli argomenti di interesse degli Ufficiali provenienti dal servizio attivo, pubblicare articoli e commenti dei singoli componenti del sodalizio per la visione aperta a tutti.
domenica 19 ottobre 2025
Il miraggio della libertà
domenica 9 febbraio 2025
FOIBE: Memoria di Basovizza
L’indecisione
angloamericana permise a Tito di vincere la corsa verso Trieste, giungendo nel
capoluogo giuliano il 1° maggio, il giorno prima dell’arrivo delle truppe
alleate, senza aver liberato Lubiana e Zagabria (51). Dal canto
suo l’Italia, sempre più conscia delle esitazioni angloamericane, su una
posizione di debolezza non riuscì a convincere gli alleati di salvaguardare i
territori contesi.
Durante i
quarantacinque giorni dell’occupazione titina di Trieste e della Venezia
Giulia, si verificò in modo più ampio, capillare e deciso quanto accaduto in
Istria nel settembre 1943. Le truppe jugoslave, infatti, esautorarono il
Comitato di Liberazione Nazionale italiano e assunsero i pieni poteri. Fu
imposto il coprifuoco, gli istituti bancari e assicurativi furono chiusi, la
stampa venne soppressa a eccezione del quotidiano Nostro Avvenire, di
orientamento slavo-comunista. Nelle città occupate dagli slavi furono proibite
le manifestazioni di carattere nazionale italiano. Il 5 maggio ad Aidussina,
l’Assemblea per la costituzione del Consiglio sloveno proclamò l’annessione del
Litorale Adriatico alla Jugoslavia, organizzando, a Trieste, grandi cortei inneggianti
all’Unione Sovietica e a Tito (52). Come temuto dal Governo
di Roma ripresero gli infoibamenti e le deportazioni di fascisti e
collaborazionisti e in generale di italiani con il preciso scopo di eliminarli
dal quel territorio. Come rivelò Milovan Gilas (53),
politico, partigiano e militare jugoslavo: “nel 1945 io e Kardelj, vice capo
della Lega dei comunisti, fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito
indurre tutti gli italiani ad andar via, con pressioni di ogni tipo. E così fu
fatto”. Alla fine di maggio furono istituiti i tribunali del popolo per
processare gli italiani accusati di fascismo. Furono però incriminati e
giustiziati oltre a numerosi esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale,
anche soldati che avevano combattuto a fianco degli alleati. Si calcola che le
vittime accertate dopo la fine della guerra (54), oltre a
otto soldati neozelandesi, fossero almeno 832, mentre le vittime presunte
ammonterebbero a 4.940, delle quali 2500 gettate nella foiba di Basovizza.
venerdì 9 agosto 2024
La sicurezza e la difesa europea
Nonostante i diversi tentativi effettuati nel tempo per stabilire un sistema di difesa per il Vecchio continente e la più recente costituzione di una apposita agenzia in materia (EDA, Europeen Difense Agency), la difesa comune rimane ancora allo stato embrionale e in fase concettuale. In sintesi, poche settimane dopo l’invasione russa, del 24 febbraio 2022, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati con la “Dichiarazione di Versailles” ad assumere «maggiori responsabilità per la propria sicurezza», a partire dal rafforzamento delle capacità difensive. Tuttavia, solo recentemente la Commissione europea ha presentato un piano strategico industriale per la difesa comune, i cui obiettivi riguardano l’acquisto congiunto di armamenti e il supporto all’industria militare. In particolare, si è stabilito che, entro il 2030, almeno il 40 per cento dei mezzi e materiali per la difesa siano acquistati in modo collaborativo e il 35 per cento del loro valore sia il risultato di scambi commerciali tra i 27 Stati membri. Inoltre, a marzo 2022, è stato approvato dal Consiglio dell’UE un piano d’azione, denominato “Strategic Compass”, che prevede la creazione di una forza di dispiegamento rapido (Rapid Deployment Capacity, RDC) composta da 5 mila soldati. La RDC, che sarà operativa dal 2025, consentirà di mobilitare forze terrestri, aeree o marittime in base a esigenze specifiche, per rispondere alle crisi al di fuori dei confini dell’Ue. Tuttavia detto contingente potrà intervenire solo per realizzare operazioni di peacekeeping e di prevenzione dei conflitti, svolgere missioni umanitarie o evacuare civili. La difesa collettiva, invece, non rientra tra i compiti normali della RDC; essa per essere attivata avrà bisogno del consenso di tutti gli Stati membri.
Si evidenzia, del resto, che all’interno del bilancio pluriennale dell’UE riguardante il periodo 2021-2027, le spese relative alla sicurezza e alla difesa rappresentano l’1,2 per cento del totale, pari a circa 13 miliardi di euro su 1.076 miliardi complessivi. Questo modesto livello di investimenti è legato alla considerazione che la politica di sicurezza e difesa è devoluta principalmente agli Stati membri. Di fatto, dallo scoppio del conflitto in Ucraina, gli Stati UE hanno aumentato in modo significativo le loro spese militari. Complessivamente, i bilanci annuali per la difesa hanno raggiunto i 240 miliardi di euro nel 2022 (erano 214 miliardi nel 2021) e si prevede che questa cifra continuerà a crescere nei prossimi anni. In media i Paesi UE spendono per la difesa circa l’1,5 per cento del proprio PIL. L’Italia, nel 2023, ha destinato a questo settore l’1,46 del PIL e resta comunque ancora al di sotto della soglia del 2% richiesto dalla NATO. Si deve considerare, inoltre, che mediamente solo il 20% dei bilanci nazionali per le spese militari è destinato alla cooperazione nel settore della difesa in Europa. Per aumentare questa quota, nel 2017 è stata istituita la Cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune, stabilendo il Fondo europeo per la difesa (FED), con il quale si finanziano progetti di difesa condivisi, nell’ottica di un’integrazione delle forze armate. Per il periodo 2021-2027 il FED ha stanziato 7,9 miliardi di euro da ripartire tra 17 aree d’azione, tra cui la cybersicurezza, le tecnologie spaziali e la robotica.
Preso atto che in futuro nessun Paese potrà affrontare autonomamente la propria
difesa, la maggioranza delle forze politiche europee vedono ora la necessità di
costituire un esercito comune europeo, anche contando di realizzare in questo
modo delle economie, rispetto a quanto destinato attualmente per le forze
armate nazionali. È evidente che per istituire
una forza armata europea, è necessario definire una politica di difesa unica, stabilire
le strutture di Comando, creare l’interoperabilità delle forze attivate,
standardizzare i relativi materiali e mezzi, stabilire la catena dei
rifornimenti, costruire le caserme e i poligoni per l’addestramento, ecc..
Finora per le missioni umanitarie o di peacekeeping europee, di responsabilità e durata limitata, sono state affiancate le strutture di Pianificazione (Stato maggiore integrato) e di Comando europee a quelle della NATO, attribuendo le funzioni di Comando di Vertice al Vice SACEUR in Europa. Ma l’aspetto più controverso è rimasto il fattore decisionale politico, che rimanendo nell’ambito del Consiglio Europeo è dovuto sottostare alle decisioni dei singoli Paesi fornitori delle forze impiegate. Ora, per ridurre la complessità decisionale sperimentata, nell’ambito della Commissione europea si avverte la necessità d’istituire un Commissario per la difesa, al fine di unificare il processo decisionale politico di un futuro esercito europeo mediante un Organo esecutivo istituzionale predefinito. Evidentemente la strada per realizzare l’obiettivo di un esercito europeo è ancora lunga e accidentata; essa richiede volontà politica, capacità tecnico-operative e finanziarie dedicate, in un’ottica di piena cooperazione, in cui ogni singolo Stato membro ceda parzialmente il terreno del proprio orticello, per poter organizzare uno spazio più ampio dove sviluppare tutto quanto è richiesto per soddisfare le necessità comuni di difesa e sicurezza dell’Europa.
mercoledì 27 marzo 2024
Disinformazione e Intelligenza artificiale
In merito al primo punto, si osserva che la disinformazione negli agoni elettorali potrebbe influenzare le scelte di voto oppure rendere vana la legittimità dei governi eletti, scatenando così disordini politici che avrebbero l’effetto di indebolire nel tempo le istituzioni democratiche. Tali conseguenze derivano dal fatto che la diffusione delle fake news, mediante applicazioni informatiche di uso corrente, come What’s App, Facebook e altre, rende difficile la distinzione tra contenuti prodotti dalla AI e quelli di origine umana.
Sul secondo punto, si evidenzia che la polarizzazione delle idee determinerebbe non solo l’orientamento politico di ogni cittadino, ma il modo con cui egli interpreta la realtà, influenzando in modo determinante la coesione sociale e persino l’equilibrio mentale di ogni persona. Analogamente, le istituzioni di governo deciderebbero in modo del tutto irrazionale su questioni politiche concernenti materie importanti, come salute pubblica, giustizia, educazione e ambiente, ecc.. All’interno di tale scenario, la proliferazione di informazioni improprie potrebbe anche essere strumentalizzata per rafforzare l’autoritarismo digitale e facilitare l’impiego della tecnologia per il controllo dei cittadini.
Nell’ambito del contrasto delle notizie false, terzo punto, i governi potrebbero assumere la crescente autorità di definire la veridicità delle informazioni, consentendo ai partiti politici di monopolizzare il discorso pubblico e reprimere voci dissidenti, inclusi giornalisti e oppositori.
Infine, per quanto attiene le forze armate, è noto che le maggiori potenze militari hanno impiegato, negli ultimi anni, notevoli risorse allo sviluppo di sistemi d’arma guidati dall’intelligenza artificiale, determinando un incremento dell’autonomia d’impiego di tali dispositivi. Nelle tre dimensioni, le forze armate sono in grado di eseguire operazioni di sorveglianza senza richiedere l’intervento umano diretto. Oggi, con l’AI è possibile svolgere funzioni anche più impegnative, come l’individuazione e la selezione di obiettivi, da neutralizzare simultaneamente con ordigni, missili, droni, barchini, ecc.. a guida autonoma. Di fatto, l’incorporazione delle tecnologie di intelligenza artificiale in campo militare, consente di prendere facilmente decisioni di natura strategica, con la possibilità d’incrementare il rischio d’escalation, in teatri già afflitti da ostilità e favorire la deflagrazione di ulteriori conflitti latenti.
In conclusione, per quanto enunciato, appare necessaria l’istituzione di una governance internazionale che sia in grado di stabilire le regole per lo sviluppo equilibrato, sicuro e condiviso dell’intelligenza artificiale. Poiché attualmente non esistono accordi, specie nel campo della difesa, sui criteri da utilizzare nello sviluppo dell’AI, occorre prevedere strategie di difesa e autorità in materia, al fine di mitigare i rischi che possono rendere poco affidabili le istituzioni democratiche e falsificare l’informazione. Ciò allo scopo di ricostruire la fiducia reciproca tra cittadini ed istituzioni, la quale, in tempi di veloce ed incontrollabile evoluzione tecnologica, sta venendo sempre più a mancare.
venerdì 9 febbraio 2024
Il giorno della memoria (10 febbraio 2024)
A seguito
della firma dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, Ante
Pavelic, ustascia e nazionalista croato, si rivolse, l’8 settembre
stesso, alla popolazione per denunciare i patti di
Roma del 1941 stipulati con Mussolini e annunciare che Hitler riconosceva allo
“Stato indipendente croato i territori croati persi sull’Adriatico”. I titini,
in particolare, approfittarono dello smarrimento dell’esercito italiano per
impadronirsi delle armi, delle munizioni e dei mezzi militari, abbandonati nei
magazzini e spogliare i soldati di qualunque oggetto utile alla guerra. Così
armati, essi iniziarono la conquista di parte dell’Istria, seminando terrore
tra la popolazione italiana. Il 13 settembre 1943, il Comitato popolare di
liberazione proclamò, a Pisino, la volontà dell’Istria di essere annessa alla
madrepatria croata e di far parte della Jugoslavia comunista, elevando la città
al rango di capoluogo di regione (al posto di Pola occupata dai tedeschi). Con
un proclama dell’Assemblea venne annunciata alla popolazione istriana
l’abolizione delle leggi politiche, economiche e sociali fasciste. Furono
occupati tutti gli edifici pubblici, l’antico castello Montecuccoli venne
trasformato in carcere e iniziò la persecuzione verso gli italiani. Il
trattamento nelle carceri fu inumano: ogni notte i partigiani si presentavano a
prelevare una lista di detenuti, per trasportarli verso destinazioni ignote.
Solamente con l’arrivo dei tedeschi e l’abbandono delle carceri da parte degli
slavi fu scoperto che i deportati, legati a due a due con un fil di ferro,
venivano gettati, a volte anche vivi, nelle foibe. Tuttavia gli arresti, le deportazioni e gli
infoibamenti non furono soltanto una caratteristica di Pisino. In tutta
l’Istria i titini prelevavano le vittime per sottoporle a terribili sofferenze
prima di ucciderle. Questa pulizia etnica operata a danno degli italiani aveva
una precisa finalità: eliminare la presenza italiana per poi rivendicarne il
territorio al momento della Conferenza di pace (1947 e 1954).
martedì 11 aprile 2023
Deterrenza nucleare e mantenimento della pace
La deterrenza nucleare è tornata ad
interessare l’opinione pubblica dell’Occidente a seguito della guerra in
Ucraina in cui la Federazione russa ha minacciato di attivare il dispositivo
delle proprie armi nucleari per conseguire gli obiettivi che si prefigge. Detto
apparato militare è stato predisposto durante la “guerra fredda” per realizzare
l’equilibrio di potenza tra le democrazie occidentali e il mondo comunista. Dopo
la caduta del muro di Berlino, le armi nucleari non hanno più suscitato nei
cittadini europei l’attenzione del periodo precedente, in quanto esse dovevano
in parte essere smantellate o ridotte secondo accordi internazionali, a cura di
organi specifici delle grandi potenze. In tale contesto alcuni Paesi della NATO
e dell’ex Patto di Varsavia, tra cui Ucraina e Bielorussia, hanno chiesto di
distruggere i dispositivi sul proprio territorio o di trasferirli negli
arsenali delle potenze di provenienza (Federazione russa o USA) che a tutt’oggi
li detengono a scopo di deterrenza.
La deterrenza ha particolare importanza in
ambito militare. Secondo il dizionario Treccani, essa consiste nel potere di distogliere da un’azione
dannosa per timore di una punizione o di una rappresaglia. Essa comporta
quindi, anche in tempo di pace, la
predisposizione di misure credibili volte a controbattere efficacemente
l’avversario in caso di attacco (deterrenza punitiva) o a impedire il conseguimento
di alcuni suoi obiettivi (deterrenza per negazione). In altre parole si tratta di
una dimostrazione di forza, volta a scoraggiare il nemico, (così come il
gorilla si batte il petto per allontanare eventuali aggressori/intrusi dal suo
habitat). Il principio trova la sua validità finché le parti mantengono un
comportamento "razionale", basato sul calcolo costi-benefici, in modo
che i rispettivi potenziali militari rimangano sotto il reciproco controllo. A
consolidare la deterrenza concorrono anche gli scopi che i contendenti si prefiggono.
Infatti, nel caso in cui l'interesse di una parte nel raggiungere un
determinato obiettivo sia superiore a quello di un’altra, la deterrenza basata
sulla supremazia dei mezzi può anche non bastare. Ad avvalorare questa tesi
basta considerare, tra tanti esempi, la guerra nel Vietnam. In tale conflitto
il potenziale statunitense era enorme rispetto a quello dei vietnamiti. Ma ciò
non portò la grande potenza al successo, in quanto le azioni poste in atto dai
vietcong, per difendere il proprio Paese dall’occupazione, determinarono a
lungo andare il ritiro delle forze statunitensi.
In particolare si osserva che, la minaccia d’impiegare
ordigni nucleari per salvaguardare l’esistenza della propria nazione, rappresenta
una deterrenza credibile e quindi efficace. Per questo oggi alcuni Stati, pur
non disponendo di ordigni nucleari, beneficiano dell’ombrello protettivo di
altre potenze, realizzando una deterrenza “estesa” che è diventata un pilastro
centrale dell'ordine internazionale. Infatti, molti Paesi della NATO e della
regione Asia-Pacifico (Giappone, Corea del Sud e Australia) godono della
protezione nucleare degli Stati Uniti. Ciò è possibile per la differente
capacità delle testate e dei mezzi disponibili (aerei, navi, sottomarini,
missili, ecc..) e in quanto essi possono facilmente essere ricollocati.
Il complesso equilibrio basato sulle armi
nucleari, ereditato dalla guerra fredda, è stato mantenuto nel tempo con
diversi accordi, nell’ottica di ridurre sempre più il numero di ordigni. Il
principale di questi è stato il TNP (Trattato di non proliferazione nucleare,
al quale aderivano USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito e non ne facevano
parte India, Pakistan e Corea del Nord) ed altri, che comportano altre misure,
tra cui ad esempio la limitazione di test atomici. Attualmente è ancora in
vigore l’accordo bilaterale New Start, sulla riduzione delle testate
nucleari (evoluzione dello Start: Strategic Arms Reduction Treaty),
firmato a Praga nel 2010, tra i Presidenti Usa e della Federazione russa. Questo
accordo è stato rinnovato fino al 2026, ma recentemente il Presidente della
Federazione ha dichiarato di volerlo sospendere, facendo ancora una volta
paventare la prospettiva di una nuova corsa agli armamenti e di un possibile conflitto
nucleare. In effetti, come detto, negli arsenali rimangono diverse testate nucleari.
Da evidenziare quelle trasportate da vettori a lungo raggio (missili a lunga
gittata, sommergibili e i bombardieri) che si stima per la Russia nel numero di
2.668 e di 2.126 e per gli Usa. Nell’intendimento di ridurre questi strumenti
bellici, dopo la guerra fredda, il Governo americano ha impiegato la maggior
parte degli investimenti per bonificare le scorie radioattive, in diversi
Paesi, Russia e Stati Uniti compresi. Infatti, gli Stati Uniti spendono per il
nucleare militare l’incredibile somma di 35,4 miliardi di dollari l’anno e
possiedono complessivamente meno ordigni della Russia (5.800 testate secondo la
National Nuclear Security Administration, contro 6.370 e una spesa
annuale di 8,5 miliardi di dollari).
Ora cosa ci si può aspettare, di fronte alla
situazione descritta e al conflitto in Ucraina, tenendo conto del cambiamento
degli equilibri tra le maggiori potenze, in un mondo multipolare?
È da chiedersi, innanzitutto, se la tendenza
post-guerra fredda a diminuire la deterrenza nucleare e a considerare le armi nucleari
principalmente nel contesto del disarmo sia ancora in linea con l'attuale
panorama della sicurezza mondiale, tenendo conto delle minacce della Russia,
così come del rischio che nuove potenze nucleari emergano in Medio Oriente e in
alcune parti dell'Asia. D’altro lato, nel conflitto in Ucraina la Russia ha
fornito un esempio chiaro di guerra ibrida, attuando una serie di misure (rapida
concentrazione di forze regolari al confine, impiego di forze speciali senza
insegne, sostegno ai separatisti nell'Ucraina orientale, aumento del prezzo del
gas e supporto di una massiccia campagna di propaganda) che mirano a creare
ambiguità e rendono difficile il processo decisionale dell’avversario. La
deterrenza, in questo caso, non basta per scoraggiare eventuali azioni nemiche,
ma questa tipologia di conflitto richiede anche altri mezzi: una maggiore
resilienza delle reti informatiche e l’ampliamento dei sistemi di comunicazione,
in modo da correggere rapidamente le false informazioni diffuse, la
diversificazione delle forniture energetiche, l’implementazione sul territorio
delle operazioni di intelligence, ecc. La minaccia delle autorità russe,
più o meno esplicita, di usare il nucleare in risposta al sostegno occidentale a
Kyiv, non ha finora trovato credito nei Paesi NATO e ha accelerato, invece, i
processi di adesione all’Alleanza della Finlandia e della Svezia.
Del resto gli Stati Uniti, fulcro della
deterrenza occidentale e consapevoli di agire come garanti dell'ordine globale,
hanno risposto insieme agli alleati della NATO con estrema cautela all’allerta
nucleare russa, pur continuando a sostenere militarmente Kyiv. Certo la
percezione del “rischio” nucleare è aumentata tra le opinioni pubbliche
dell’Occidente, dopo un lungo periodo di pace che lo aveva allontanato. Gli USA
hanno minacciato “conseguenze catastrofiche” nel caso in cui Mosca decida di utilizzare
questo strumento, ma, per sventarne il rischio, rimane fondamentale la coesione
occidentale che rappresenta di gran lunga l’arma di dissuasione più efficace,
per mantenere a livello globale e avviare, nel conflitto in Ucraina, una
prospettiva di pace.
mercoledì 15 giugno 2022
La pace: utopia o traguardo possibile?
È un
quesito che nasce spontaneo in questi giorni in cui siamo inondati di notizie e
avvenimenti dai contenuti infausti e drammatici che ci coinvolgono direttamente
e indirettamente. Nel nostro fragile pianeta si riteneva che la situazione
geopolitica in Europa, creatasi dopo il secondo conflitto mondiale, non venisse
più posta in discussione dopo 77 anni di pace. Il modo di vivere e i valori
dell’occidente, per alcuni in decadenza, sono stati colpiti nella loro essenza da
un’aggressione sconsiderata, volta a stravolgere gli equilibri faticosamente
raggiunti. Ora la guerra, con tutte le sue implicazioni, è realmente a casa
nostra e richiede a tutti, Stati, istituzioni e cittadini di attuare i
provvedimenti necessari, al fine di salvaguardare il bene prezioso della pace. Essa
viene definita come una “condizione di normalità di rapporti, di assenza di
guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno Stato, di gruppi
organizzati, ... sia all’esterno, con altri popoli, altri Stati, altri gruppi”
(Cfr. Enc. Treccani). In quest’ ultimo periodo i temi che riguardano la pace e
la guerra, sono stati dibattuti nei diversi aspetti e punti di vista dal mondo dell’informazione
che con i suoi sofismi ha confuso le idee a molti, anche ai più attenti osservatori.
Il Papa, massima autorità etico-religiosa e Capo di Stato, ha sollecitato in
più occasioni i potenti e i governanti dei Paesi, coinvolti nei vari conflitti,
a riconsiderare il dialogo come via d’uscita dalla follia della guerra e come
strumento per realizzare la tanta auspicata convivenza pacifica nel mondo. Del resto, per realizzare questo sacrosanto diritto
dell’uomo, molti studiosi hanno promulgato da tempo il loro pensiero, dal quale
vorrei trarre sinteticamente qualche elemento di riflessione.
Del resto risulta evidente quanto
l’ONU, organizzazione sovraordinata agli Stati e costituita per salvaguardare la
pace, abbia dimostrato la sua impotenza di fronte alle situazioni conflittuali
verificatesi negli ultimi anni, principalmente a causa della sua struttura
istituzionale che attribuisce alle maggiori potenze mondiali il diritto di veto
sulle sue risoluzioni. E allora che fare? Non c’è dubbio che, se da un lato
esiste l’urgenza di contrastare la prepotenza di un invasore verso un Paese
sovrano, nel modo in cui è possibile farlo (non solo con le armi), rispondendo
con misure idonee per impedire il compimento del suo insensato piano, da un altro
lato occorre lavorare seriamente per la costruzione concreta di una Comunità
internazionale votata alla pace. Immanuel Kant aiuta a riconoscere alcune altre
condizioni per la pace: «la costituzione di ogni Stato dovrebbe essere
repubblicana». Infatti solo uno Stato/Governo nel quale siano garantiti la
limitazione del potere attraverso istituzioni rappresentative, nonché una serie
di diritti per i cittadini, sentirà la necessità di ascoltare il volere del
popolo, direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, nel caso di una
decisione così cruciale come lo stato di guerra. Inoltre, la mancanza di una
cultura della pace in una società evoluta genera cinismo, aggressività,
violenza, conflittualità. Pertanto, benché la pace universale trovi evidenti
difficoltà di realizzazione, nulla vieta ai singoli cittadini, alle nazioni,
alla Comunità internazionale di porre in atto, nei loro ambiti specifici, ogni
possibile azione volta al conseguimento di questo irrinunciabile diritto,
legato all’esistenza dell’uomo.
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Il 19 gennaio scorso a Davos, in Svizzera, si è riunito il World Economic Forum, per discutere sul tema “ricostruire la fiducia” a livello...