domenica 19 ottobre 2025

Il miraggio della libertà

 L'ultimo mio libro : IL MIRAGGIO DELLA LIBERTA'

Un romanzo intenso e avvincente che attraversa alcuni dei momenti più drammatici e significativi della storia italiana, dal 1936 al boom economico degli anni Sessanta.
Protagonista è una famiglia di agricoltori di Velo Veronese, sui monti Lessini, che si trova a vivere in prima persona le ferite e le trasformazioni di un’epoca complessa. Zeno ed Evelina, con i loro figli Linda, Antonio e Gilberto, affrontano la guerra, le privazioni e la repressione del regime, ma anche le inaspettate fioriture dell’amore e la speranza di una vita diversa.

Tra conflitti, sacrifici e segreti custoditi a lungo, la storia familiare diventa specchio di un intero Paese che lotta per la libertà e si apre a un futuro nuovo.
Con la forza della memoria e lo sguardo delle nuove generazioni, questo libro racconta la resistenza, le ferite del passato e il riscatto di chi, dopo la distruzione, ha saputo credere nella rinascita e nei valori di una società finalmente libera e democratica.

Un affresco corale che emoziona e coinvolge, invitando il lettore a riscoprire, attraverso le vicende di una famiglia, le radici della nostra storia recente.

domenica 9 febbraio 2025

FOIBE: Memoria di Basovizza

 



L’indecisione angloamericana permise a Tito di vincere la corsa verso Trieste, giungendo nel capoluogo giuliano il 1° maggio, il giorno prima dell’arrivo delle truppe alleate, senza aver liberato Lubiana e Zagabria (51). Dal canto suo l’Italia, sempre più conscia delle esitazioni angloamericane, su una posizione di debolezza non riuscì a convincere gli alleati di salvaguardare i territori contesi.

Durante i quarantacinque giorni dell’occupazione titina di Trieste e della Venezia Giulia, si verificò in modo più ampio, capillare e deciso quanto accaduto in Istria nel settembre 1943. Le truppe jugoslave, infatti, esautorarono il Comitato di Liberazione Nazionale italiano e assunsero i pieni poteri. Fu imposto il coprifuoco, gli istituti bancari e assicurativi furono chiusi, la stampa venne soppressa a eccezione del quotidiano Nostro Avvenire, di orientamento slavo-comunista. Nelle città occupate dagli slavi furono proibite le manifestazioni di carattere nazionale italiano. Il 5 maggio ad Aidussina, l’Assemblea per la costituzione del Consiglio sloveno proclamò l’annessione del Litorale Adriatico alla Jugoslavia, organizzando, a Trieste, grandi cortei inneggianti all’Unione Sovietica e a Tito (52). Come temuto dal Governo di Roma ripresero gli infoibamenti e le deportazioni di fascisti e collaborazionisti e in generale di italiani con il preciso scopo di eliminarli dal quel territorio. Come rivelò Milovan Gilas (53), politico, partigiano e militare jugoslavo: “nel 1945 io e Kardelj, vice capo della Lega dei comunisti, fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andar via, con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto”. Alla fine di maggio furono istituiti i tribunali del popolo per processare gli italiani accusati di fascismo. Furono però incriminati e giustiziati oltre a numerosi esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale, anche soldati che avevano combattuto a fianco degli alleati. Si calcola che le vittime accertate dopo la fine della guerra (54), oltre a otto soldati neozelandesi, fossero almeno 832, mentre le vittime presunte ammonterebbero a 4.940, delle quali 2500 gettate nella foiba di Basovizza.

( tratto da "Europa e Balcani occidentali"  dell'Autore)

venerdì 9 agosto 2024

La sicurezza e la difesa europea

 Nonostante i diversi tentativi effettuati nel tempo per stabilire un sistema di difesa per il Vecchio continente e la più recente costituzione di una apposita agenzia in materia (EDA, Europeen Difense Agency), la difesa comune rimane ancora allo stato embrionale e in fase concettuale. In sintesi, poche settimane dopo l’invasione russa, del 24 febbraio 2022, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati con la “Dichiarazione di Versailles” ad assumere «maggiori responsabilità per la propria sicurezza», a partire dal rafforzamento delle capacità difensive. Tuttavia, solo recentemente la Commissione europea ha presentato un piano strategico industriale per la difesa comune, i cui obiettivi riguardano l’acquisto congiunto di armamenti e il supporto all’industria militare. In particolare, si è stabilito che, entro il 2030, almeno il 40 per cento dei mezzi e materiali per la difesa siano acquistati in modo collaborativo e il 35 per cento del loro valore sia il risultato di scambi commerciali tra i 27 Stati membri. Inoltre, a marzo 2022, è stato approvato dal Consiglio dell’UE un piano d’azione, denominato “Strategic Compass”, che prevede la creazione di una forza di dispiegamento rapido (Rapid Deployment Capacity, RDC) composta da 5 mila soldati. La RDC, che sarà operativa dal 2025, consentirà di mobilitare forze terrestri, aeree o marittime in base a esigenze specifiche, per rispondere alle crisi al di fuori dei confini dell’Ue. Tuttavia detto contingente potrà intervenire solo per realizzare operazioni di peacekeeping e di prevenzione dei conflitti, svolgere missioni umanitarie o evacuare civili. La difesa collettiva, invece, non rientra tra i compiti normali della RDC; essa per essere attivata avrà bisogno del consenso di tutti gli Stati membri.


Si evidenzia, del resto, che all’interno del bilancio pluriennale dell’UE riguardante il periodo 2021-2027, le spese relative alla sicurezza e alla difesa rappresentano l’1,2 per cento del totale, pari a circa 13 miliardi di euro su 1.076 miliardi complessivi. Questo modesto livello di investimenti è legato alla considerazione che la politica di sicurezza e difesa è devoluta principalmente agli Stati membri. Di fatto, dallo scoppio del conflitto in Ucraina, gli Stati UE hanno aumentato in modo significativo le loro spese militari. Complessivamente, i bilanci annuali per la difesa hanno raggiunto i 240 miliardi di euro nel 2022 (erano 214 miliardi nel 2021) e si prevede che questa cifra continuerà a crescere nei prossimi anni. In media i Paesi UE spendono per la difesa circa l’1,5 per cento del proprio PIL. L’Italia, nel 2023, ha destinato a questo settore l’1,46 del PIL e resta comunque ancora al di sotto della soglia del 2% richiesto dalla NATO. Si deve considerare, inoltre, che mediamente solo il 20% dei bilanci nazionali per le spese militari è destinato alla cooperazione nel settore della difesa in Europa. Per aumentare questa quota, nel 2017 è stata istituita la Cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune, stabilendo il Fondo europeo per la difesa (FED), con il quale si finanziano progetti di difesa condivisi, nell’ottica di un’integrazione delle forze armate. Per il periodo 2021-2027 il FED ha stanziato 7,9 miliardi di euro da ripartire tra 17 aree d’azione, tra cui la cybersicurezza, le tecnologie spaziali e la robotica.

Preso atto che in futuro nessun Paese potrà affrontare autonomamente la propria difesa, la maggioranza delle forze politiche europee vedono ora la necessità di costituire un esercito comune europeo, anche contando di realizzare in questo modo delle economie, rispetto a quanto destinato attualmente per le forze armate nazionali.  È evidente che per istituire una forza armata europea, è necessario definire una politica di difesa unica, stabilire le strutture di Comando, creare l’interoperabilità delle forze attivate, standardizzare i relativi materiali e mezzi, stabilire la catena dei rifornimenti, costruire le caserme e i poligoni per l’addestramento, ecc..

Finora per le missioni umanitarie o di peacekeeping europee, di responsabilità e durata limitata, sono state affiancate le strutture di Pianificazione (Stato maggiore integrato) e di Comando europee a quelle della NATO, attribuendo le funzioni di Comando di Vertice al Vice SACEUR in Europa. Ma l’aspetto più controverso è rimasto il fattore decisionale politico, che rimanendo nell’ambito del Consiglio Europeo è dovuto sottostare alle decisioni dei singoli Paesi fornitori delle forze impiegate. Ora, per ridurre la complessità decisionale sperimentata, nell’ambito della Commissione europea si avverte la necessità d’istituire un Commissario per la difesa, al fine di unificare il processo decisionale politico di un futuro esercito europeo mediante un Organo esecutivo istituzionale predefinito. Evidentemente la strada per realizzare l’obiettivo di un esercito europeo è ancora lunga e accidentata; essa richiede volontà politica, capacità tecnico-operative e finanziarie dedicate, in un’ottica di piena cooperazione, in cui ogni singolo Stato membro ceda parzialmente il terreno del proprio orticello, per poter organizzare uno spazio più ampio dove sviluppare tutto quanto è richiesto per soddisfare le necessità comuni di difesa e sicurezza dell’Europa.

mercoledì 27 marzo 2024

Disinformazione e Intelligenza artificiale

 



Il 19 gennaio scorso a Davos, in Svizzera, si è riunito il World Economic Forum, per discutere sul tema “ricostruire la fiducia” a livello globale. In questo ambito sono stati esaminati, in particolare, i rischi del pianeta derivanti dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI). A conclusione del meeting è stato pubblicato un rapporto nel quale 1500 esperti di tutto il mondo hanno identificato la disinformazione, alimentata dall’impiego dell’AI, come il principale rischio globale nei prossimi due anni. È interessante richiamare gli elementi più significativi del dibattito scaturito nell’incontro, al fine di comprendere quanto la nostra società sia indifesa di fronte alla disinformazione, creata dalla tecnologia denominata “intelligenza artificiale generativa”.
Considerando che nei prossimi due anni circa quattro miliardi di cittadini nel mondo dovranno eleggere i propri rappresentanti, si prevede che un numero elevato di agenti, di differente estrazione, cercherà di utilizzare le sempre più efficaci possibilità dell’AI per rendere più evidenti le divergenze esistenti nella società, generando conseguenze che vanno ben oltre il contesto cibernetico. In particolare, la manipolazione dell’informazione potrebbe agire su quattro diversi settori: determinare i risultati delle elezioni politiche di alcune tra le maggiori economie del pianeta; aumentare la polarizzazione della società facendo insorgere disordini civili e conflitti su vaste aree; incrementare la repressione dei governi contro la proliferazione delle informazioni false; interferire sull’autonomia dei dispositivi delle forze armate che  funzionano mediante l’intelligenza artificiale.
In merito al primo punto, si osserva che la disinformazione negli agoni elettorali potrebbe influenzare le scelte di voto oppure rendere vana la legittimità dei governi eletti, scatenando così disordini politici che avrebbero l’effetto di indebolire nel tempo le istituzioni democratiche. Tali conseguenze derivano dal fatto che la diffusione delle fake news, mediante applicazioni informatiche di uso corrente, come What’s App, Facebook e altre, rende difficile la distinzione tra contenuti prodotti dalla AI e quelli di origine umana.
Sul secondo punto, si evidenzia che la polarizzazione delle idee determinerebbe non solo l’orientamento politico di ogni cittadino, ma il modo con cui egli interpreta la realtà, influenzando in modo determinante la coesione sociale e persino l’equilibrio mentale di ogni persona. Analogamente, le istituzioni di governo deciderebbero in modo del tutto irrazionale su questioni politiche concernenti materie importanti, come salute pubblica, giustizia, educazione e ambiente, ecc.. All’interno di tale scenario, la proliferazione di informazioni improprie potrebbe anche essere strumentalizzata per rafforzare l’autoritarismo digitale e facilitare l’impiego della tecnologia per il controllo dei cittadini.
Nell’ambito del contrasto delle notizie false, terzo punto, i governi potrebbero assumere la crescente autorità di definire la veridicità delle informazioni, consentendo ai partiti politici di monopolizzare il discorso pubblico e reprimere voci dissidenti, inclusi giornalisti e oppositori.
Infine, per quanto attiene le forze armate, è noto che le maggiori potenze militari hanno impiegato, negli ultimi anni, notevoli risorse allo sviluppo di sistemi d’arma guidati dall’intelligenza artificiale, determinando un incremento dell’autonomia d’impiego di tali dispositivi. Nelle tre dimensioni, le forze armate sono in grado di eseguire operazioni di sorveglianza senza richiedere l’intervento umano diretto. Oggi, con l’AI è possibile svolgere funzioni anche più impegnative, come l’individuazione e la selezione di obiettivi, da neutralizzare simultaneamente con ordigni, missili, droni, barchini, ecc.. a guida autonoma. Di fatto, l’incorporazione delle tecnologie di intelligenza artificiale in campo militare, consente di prendere facilmente decisioni di natura strategica, con la possibilità d’incrementare il rischio d’escalation, in teatri già afflitti da ostilità e favorire la deflagrazione di ulteriori conflitti latenti.
In conclusione, per quanto enunciato, appare necessaria l’istituzione di una governance internazionale che sia in grado di stabilire le regole per lo sviluppo equilibrato, sicuro e condiviso dell’intelligenza artificiale. Poiché attualmente non esistono accordi, specie nel campo della difesa, sui criteri da utilizzare nello sviluppo dell’AI, occorre prevedere strategie di difesa e autorità in materia, al fine di mitigare i rischi che possono rendere poco affidabili le istituzioni democratiche e falsificare l’informazione. Ciò allo scopo di ricostruire la fiducia reciproca tra cittadini ed istituzioni, la quale, in tempi di veloce ed incontrollabile evoluzione tecnologica, sta venendo sempre più a mancare.
 


venerdì 9 febbraio 2024

Il giorno della memoria (10 febbraio 2024)

 


A seguito della firma dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, Ante Pavelic, ustascia e nazionalista croato, si rivolse, l’8 settembre stesso, alla popolazione per denunciare i patti di Roma del 1941 stipulati con Mussolini e annunciare che Hitler riconosceva allo “Stato indipendente croato i territori croati persi sull’Adriatico”. I titini, in particolare, approfittarono dello smarrimento dell’esercito italiano per impadronirsi delle armi, delle munizioni e dei mezzi militari, abbandonati nei magazzini e spogliare i soldati di qualunque oggetto utile alla guerra. Così armati, essi iniziarono la conquista di parte dell’Istria, seminando terrore tra la popolazione italiana. Il 13 settembre 1943, il Comitato popolare di liberazione proclamò, a Pisino, la volontà dell’Istria di essere annessa alla madrepatria croata e di far parte della Jugoslavia comunista, elevando la città al rango di capoluogo di regione (al posto di Pola occupata dai tedeschi). Con un proclama dell’Assemblea venne annunciata alla popolazione istriana l’abolizione delle leggi politiche, economiche e sociali fasciste. Furono occupati tutti gli edifici pubblici, l’antico castello Montecuccoli venne trasformato in carcere e iniziò la persecuzione verso gli italiani. Il trattamento nelle carceri fu inumano: ogni notte i partigiani si presentavano a prelevare una lista di detenuti, per trasportarli verso destinazioni ignote. Solamente con l’arrivo dei tedeschi e l’abbandono delle carceri da parte degli slavi fu scoperto che i deportati, legati a due a due con un fil di ferro, venivano gettati, a volte anche vivi, nelle foibe.  Tuttavia gli arresti, le deportazioni e gli infoibamenti non furono soltanto una caratteristica di Pisino. In tutta l’Istria i titini prelevavano le vittime per sottoporle a terribili sofferenze prima di ucciderle. Questa pulizia etnica operata a danno degli italiani aveva una precisa finalità: eliminare la presenza italiana per poi rivendicarne il territorio al momento della Conferenza di pace (1947 e 1954).


martedì 11 aprile 2023

Deterrenza nucleare e mantenimento della pace

 

La deterrenza nucleare è tornata ad interessare l’opinione pubblica dell’Occidente a seguito della guerra in Ucraina in cui la Federazione russa ha minacciato di attivare il dispositivo delle proprie armi nucleari per conseguire gli obiettivi che si prefigge. Detto apparato militare è stato predisposto durante la “guerra fredda” per realizzare l’equilibrio di potenza tra le democrazie occidentali e il mondo comunista. Dopo la caduta del muro di Berlino, le armi nucleari non hanno più suscitato nei cittadini europei l’attenzione del periodo precedente, in quanto esse dovevano in parte essere smantellate o ridotte secondo accordi internazionali, a cura di organi specifici delle grandi potenze. In tale contesto alcuni Paesi della NATO e dell’ex Patto di Varsavia, tra cui Ucraina e Bielorussia, hanno chiesto di distruggere i dispositivi sul proprio territorio o di trasferirli negli arsenali delle potenze di provenienza (Federazione russa o USA) che a tutt’oggi li detengono a scopo di deterrenza.

La deterrenza ha particolare importanza in ambito militare. Secondo il dizionario Treccani, essa consiste nel potere di distogliere da un’azione dannosa per timore di una punizione o di una rappresaglia. Essa comporta quindi, anche in tempo di pace, la predisposizione di misure credibili volte a controbattere efficacemente l’avversario in caso di attacco (deterrenza punitiva) o a impedire il conseguimento di alcuni suoi obiettivi (deterrenza per negazione). In altre parole si tratta di una dimostrazione di forza, volta a scoraggiare il nemico, (così come il gorilla si batte il petto per allontanare eventuali aggressori/intrusi dal suo habitat). Il principio trova la sua validità finché le parti mantengono un comportamento "razionale", basato sul calcolo costi-benefici, in modo che i rispettivi potenziali militari rimangano sotto il reciproco controllo. A consolidare la deterrenza concorrono anche gli scopi che i contendenti si prefiggono. Infatti, nel caso in cui l'interesse di una parte nel raggiungere un determinato obiettivo sia superiore a quello di un’altra, la deterrenza basata sulla supremazia dei mezzi può anche non bastare. Ad avvalorare questa tesi basta considerare, tra tanti esempi, la guerra nel Vietnam. In tale conflitto il potenziale statunitense era enorme rispetto a quello dei vietnamiti. Ma ciò non portò la grande potenza al successo, in quanto le azioni poste in atto dai vietcong, per difendere il proprio Paese dall’occupazione, determinarono a lungo andare il ritiro delle forze statunitensi.

In particolare si osserva che, la minaccia d’impiegare ordigni nucleari per salvaguardare l’esistenza della propria nazione, rappresenta una deterrenza credibile e quindi efficace. Per questo oggi alcuni Stati, pur non disponendo di ordigni nucleari, beneficiano dell’ombrello protettivo di altre potenze, realizzando una deterrenza “estesa” che è diventata un pilastro centrale dell'ordine internazionale. Infatti, molti Paesi della NATO e della regione Asia-Pacifico (Giappone, Corea del Sud e Australia) godono della protezione nucleare degli Stati Uniti. Ciò è possibile per la differente capacità delle testate e dei mezzi disponibili (aerei, navi, sottomarini, missili, ecc..) e in quanto essi possono facilmente essere ricollocati.  

Il complesso equilibrio basato sulle armi nucleari, ereditato dalla guerra fredda, è stato mantenuto nel tempo con diversi accordi, nell’ottica di ridurre sempre più il numero di ordigni. Il principale di questi è stato il TNP (Trattato di non proliferazione nucleare, al quale aderivano USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito e non ne facevano parte India, Pakistan e Corea del Nord) ed altri, che comportano altre misure, tra cui ad esempio la limitazione di test atomici. Attualmente è ancora in vigore l’accordo bilaterale New Start, sulla riduzione delle testate nucleari (evoluzione dello Start: Strategic Arms Reduction Treaty), firmato a Praga nel 2010, tra i Presidenti Usa e della Federazione russa. Questo accordo è stato rinnovato fino al 2026, ma recentemente il Presidente della Federazione ha dichiarato di volerlo sospendere, facendo ancora una volta paventare la prospettiva di una nuova corsa agli armamenti e di un possibile conflitto nucleare. In effetti, come detto, negli arsenali rimangono diverse testate nucleari. Da evidenziare quelle trasportate da vettori a lungo raggio (missili a lunga gittata, sommergibili e i bombardieri) che si stima per la Russia nel numero di 2.668 e di 2.126 e per gli Usa. Nell’intendimento di ridurre questi strumenti bellici, dopo la guerra fredda, il Governo americano ha impiegato la maggior parte degli investimenti per bonificare le scorie radioattive, in diversi Paesi, Russia e Stati Uniti compresi. Infatti, gli Stati Uniti spendono per il nucleare militare l’incredibile somma di 35,4 miliardi di dollari l’anno e possiedono complessivamente meno ordigni della Russia (5.800 testate secondo la National Nuclear Security Administration, contro 6.370 e una spesa annuale di 8,5 miliardi di dollari).

Ora cosa ci si può aspettare, di fronte alla situazione descritta e al conflitto in Ucraina, tenendo conto del cambiamento degli equilibri tra le maggiori potenze, in un mondo multipolare?

È da chiedersi, innanzitutto, se la tendenza post-guerra fredda a diminuire la deterrenza nucleare e a considerare le armi nucleari principalmente nel contesto del disarmo sia ancora in linea con l'attuale panorama della sicurezza mondiale, tenendo conto delle minacce della Russia, così come del rischio che nuove potenze nucleari emergano in Medio Oriente e in alcune parti dell'Asia. D’altro lato, nel conflitto in Ucraina la Russia ha fornito un esempio chiaro di guerra ibrida, attuando una serie di misure (rapida concentrazione di forze regolari al confine, impiego di forze speciali senza insegne, sostegno ai separatisti nell'Ucraina orientale, aumento del prezzo del gas e supporto di una massiccia campagna di propaganda) che mirano a creare ambiguità e rendono difficile il processo decisionale dell’avversario. La deterrenza, in questo caso, non basta per scoraggiare eventuali azioni nemiche, ma questa tipologia di conflitto richiede anche altri mezzi: una maggiore resilienza delle reti informatiche e l’ampliamento dei sistemi di comunicazione, in modo da correggere rapidamente le false informazioni diffuse, la diversificazione delle forniture energetiche, l’implementazione sul territorio delle operazioni di intelligence, ecc. La minaccia delle autorità russe, più o meno esplicita, di usare il nucleare in risposta al sostegno occidentale a Kyiv, non ha finora trovato credito nei Paesi NATO e ha accelerato, invece, i processi di adesione all’Alleanza della Finlandia e della Svezia.

Del resto gli Stati Uniti, fulcro della deterrenza occidentale e consapevoli di agire come garanti dell'ordine globale, hanno risposto insieme agli alleati della NATO con estrema cautela all’allerta nucleare russa, pur continuando a sostenere militarmente Kyiv. Certo la percezione del “rischio” nucleare è aumentata tra le opinioni pubbliche dell’Occidente, dopo un lungo periodo di pace che lo aveva allontanato. Gli USA hanno minacciato “conseguenze catastrofiche” nel caso in cui Mosca decida di utilizzare questo strumento, ma, per sventarne il rischio, rimane fondamentale la coesione occidentale che rappresenta di gran lunga l’arma di dissuasione più efficace, per mantenere a livello globale e avviare, nel conflitto in Ucraina, una prospettiva di pace.

mercoledì 15 giugno 2022

La pace: utopia o traguardo possibile?

 

È un quesito che nasce spontaneo in questi giorni in cui siamo inondati di notizie e avvenimenti dai contenuti infausti e drammatici che ci coinvolgono direttamente e indirettamente. Nel nostro fragile pianeta si riteneva che la situazione geopolitica in Europa, creatasi dopo il secondo conflitto mondiale, non venisse più posta in discussione dopo 77 anni di pace. Il modo di vivere e i valori dell’occidente, per alcuni in decadenza, sono stati colpiti nella loro essenza da un’aggressione sconsiderata, volta a stravolgere gli equilibri faticosamente raggiunti. Ora la guerra, con tutte le sue implicazioni, è realmente a casa nostra e richiede a tutti, Stati, istituzioni e cittadini di attuare i provvedimenti necessari, al fine di salvaguardare il bene prezioso della pace. Essa viene definita come una “condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno Stato, di gruppi organizzati, ... sia all’esterno, con altri popoli, altri Stati, altri gruppi” (Cfr. Enc. Treccani). In quest’ ultimo periodo i temi che riguardano la pace e la guerra, sono stati dibattuti nei diversi aspetti e punti di vista dal mondo dell’informazione che con i suoi sofismi ha confuso le idee a molti, anche ai più attenti osservatori. Il Papa, massima autorità etico-religiosa e Capo di Stato, ha sollecitato in più occasioni i potenti e i governanti dei Paesi, coinvolti nei vari conflitti, a riconsiderare il dialogo come via d’uscita dalla follia della guerra e come strumento per realizzare la tanta auspicata convivenza pacifica nel mondo.  Del resto, per realizzare questo sacrosanto diritto dell’uomo, molti studiosi hanno promulgato da tempo il loro pensiero, dal quale vorrei trarre sinteticamente qualche elemento di riflessione.

Nelle teorie volte a conseguire la pace si tende a evidenziare sostanzialmente tre diverse prospettive: quella realistica (basata sull’ equilibrio delle forze e degli strumenti militari), quella etica (fondata sulla capacità umana di rinnovare i propri valori morali), quella istituzionale (costruita sul ruolo del diritto e sulle istituzioni che rappresentano gli Stati). In merito a quest’ultima visione, ritenuta la più pragmatica, Albert Einstein nel 1939 scrisse una celebre lettera a Sigmund Freud, con questo sostanziale suggerimento: «gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra di loro». In effetti la pace conseguita attraverso lo stato di diritto ha origine da una lunga tradizione culturale, da Kant (vds. Trattato sulla pace perpetua) a Norberto Bobbio (vds. Il problema della guerra e le vie per la pace). L’idea fondante di detta tradizione prevede che per garantire la pace, tra due o più parti in conflitto, sia necessario costruire istituzioni giuridiche capaci – cioè con l’autorità necessaria – di decidere sulle ragioni del conflitto stesso. Su questa base ha avuto origine la federazione che ha dato vita agli Stati Uniti d’America e ha ispirato i padri dell’Unione europea fin dal “Manifesto di Ventotene”.  Luigi Einaudi, in un discorso all’Assemblea Costituente, argomentando sul fallimento della Società delle Nazioni, ribadiva che il «mito funesto» della sovranità assoluta degli Stati «è il vero generatore della guerra» e che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa era «l’unico ideale per cui valeva la pena di lavorare» (vds. La guerra e l’unità europea). Anche Bobbio, propugnando il federalismo degli Stati, in numerosi scritti ha insistito sulla necessità di creare quell’Autorità terza la cui assenza è il vero difetto dell’ordinamento internazionale. Senza illusioni sul raggiungimento del risultato in tempi brevi, il filosofo torinese indicava chiaramente la meta alla quale i popoli e gli Stati avrebbero dovuto guardare se volevano davvero garantirsi la pace, tanto più in una condizione di latente guerra nucleare. Senza addentrarci nei contenuti specifici di dette teorie, si può facilmente comprendere quanto gli esseri umani, per la loro natura, abbiano difficoltà a trattare per la pace e, allo stesso tempo, realizzarla sul piano pratico (stante il “Cainismo” individuato da Papa Francesco). Appare anche altrettanto arduo giungere a un patto federativo tra le nazioni, necessario per poter autorizzare un’Autorità terza a intervenire nella composizione dei conflitti. 

Del resto risulta evidente quanto l’ONU, organizzazione sovraordinata agli Stati e costituita per salvaguardare la pace, abbia dimostrato la sua impotenza di fronte alle situazioni conflittuali verificatesi negli ultimi anni, principalmente a causa della sua struttura istituzionale che attribuisce alle maggiori potenze mondiali il diritto di veto sulle sue risoluzioni. E allora che fare? Non c’è dubbio che, se da un lato esiste l’urgenza di contrastare la prepotenza di un invasore verso un Paese sovrano, nel modo in cui è possibile farlo (non solo con le armi), rispondendo con misure idonee per impedire il compimento del suo insensato piano, da un altro lato occorre lavorare seriamente per la costruzione concreta di una Comunità internazionale votata alla pace. Immanuel Kant aiuta a riconoscere alcune altre condizioni per la pace: «la costituzione di ogni Stato dovrebbe essere repubblicana». Infatti solo uno Stato/Governo nel quale siano garantiti la limitazione del potere attraverso istituzioni rappresentative, nonché una serie di diritti per i cittadini, sentirà la necessità di ascoltare il volere del popolo, direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, nel caso di una decisione così cruciale come lo stato di guerra. Inoltre, la mancanza di una cultura della pace in una società evoluta genera cinismo, aggressività, violenza, conflittualità. Pertanto, benché la pace universale trovi evidenti difficoltà di realizzazione, nulla vieta ai singoli cittadini, alle nazioni, alla Comunità internazionale di porre in atto, nei loro ambiti specifici, ogni possibile azione volta al conseguimento di questo irrinunciabile diritto, legato all’esistenza dell’uomo.