La sicurezza e la difesa europea

 Nonostante i diversi tentativi effettuati nel tempo per stabilire un sistema di difesa per il Vecchio continente e la più recente costituzione di una apposita agenzia in materia (EDA, Europeen Difense Agency), la difesa comune rimane ancora allo stato embrionale e in fase concettuale. In sintesi, poche settimane dopo l’invasione russa, del 24 febbraio 2022, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati con la “Dichiarazione di Versailles” ad assumere «maggiori responsabilità per la propria sicurezza», a partire dal rafforzamento delle capacità difensive. Tuttavia, solo recentemente la Commissione europea ha presentato un piano strategico industriale per la difesa comune, i cui obiettivi riguardano l’acquisto congiunto di armamenti e il supporto all’industria militare. In particolare, si è stabilito che, entro il 2030, almeno il 40 per cento dei mezzi e materiali per la difesa siano acquistati in modo collaborativo e il 35 per cento del loro valore sia il risultato di scambi commerciali tra i 27 Stati membri. Inoltre, a marzo 2022, è stato approvato dal Consiglio dell’UE un piano d’azione, denominato “Strategic Compass”, che prevede la creazione di una forza di dispiegamento rapido (Rapid Deployment Capacity, RDC) composta da 5 mila soldati. La RDC, che sarà operativa dal 2025, consentirà di mobilitare forze terrestri, aeree o marittime in base a esigenze specifiche, per rispondere alle crisi al di fuori dei confini dell’Ue. Tuttavia detto contingente potrà intervenire solo per realizzare operazioni di peacekeeping e di prevenzione dei conflitti, svolgere missioni umanitarie o evacuare civili. La difesa collettiva, invece, non rientra tra i compiti normali della RDC; essa per essere attivata avrà bisogno del consenso di tutti gli Stati membri.

Si evidenzia, del resto, che all’interno del bilancio pluriennale dell’UE riguardante il periodo 2021-2027, le spese relative alla sicurezza e alla difesa rappresentano l’1,2 per cento del totale, pari a circa 13 miliardi di euro su 1.076 miliardi complessivi. Questo modesto livello di investimenti è legato alla considerazione che la politica di sicurezza e difesa è devoluta principalmente agli Stati membri. Di fatto, dallo scoppio del conflitto in Ucraina, gli Stati UE hanno aumentato in modo significativo le loro spese militari. Complessivamente, i bilanci annuali per la difesa hanno raggiunto i 240 miliardi di euro nel 2022 (erano 214 miliardi nel 2021) e si prevede che questa cifra continuerà a crescere nei prossimi anni. In media i Paesi UE spendono per la difesa circa l’1,5 per cento del proprio PIL. L’Italia, nel 2023, ha destinato a questo settore l’1,46 del PIL e resta comunque ancora al di sotto della soglia del 2% richiesto dalla NATO. Si deve considerare, inoltre, che mediamente solo il 20% dei bilanci nazionali per le spese militari è destinato alla cooperazione nel settore della difesa in Europa. Per aumentare questa quota, nel 2017 è stata istituita la Cooperazione strutturata permanente (PESCO) nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune, stabilendo il Fondo europeo per la difesa (FED), con il quale si finanziano progetti di difesa condivisi, nell’ottica di un’integrazione delle forze armate. Per il periodo 2021-2027 il FED ha stanziato 7,9 miliardi di euro da ripartire tra 17 aree d’azione, tra cui la cybersicurezza, le tecnologie spaziali e la robotica.

Preso atto che in futuro nessun Paese potrà affrontare autonomamente la propria difesa, la maggioranza delle forze politiche europee vedono ora la necessità di costituire un esercito comune europeo, anche contando di realizzare in questo modo delle economie, rispetto a quanto destinato attualmente per le forze armate nazionali.  È evidente che per istituire una forza armata europea, è necessario definire una politica di difesa unica, stabilire le strutture di Comando, creare l’interoperabilità delle forze attivate, standardizzare i relativi materiali e mezzi, stabilire la catena dei rifornimenti, costruire le caserme e i poligoni per l’addestramento, ecc..

Finora per le missioni umanitarie o di peacekeeping europee, di responsabilità e durata limitata, sono state affiancate le strutture di Pianificazione (Stato maggiore integrato) e di Comando europee a quelle della NATO, attribuendo le funzioni di Comando di Vertice al Vice SACEUR in Europa. Ma l’aspetto più controverso è rimasto il fattore decisionale politico, che rimanendo nell’ambito del Consiglio Europeo è dovuto sottostare alle decisioni dei singoli Paesi fornitori delle forze impiegate. Ora, per ridurre la complessità decisionale sperimentata, nell’ambito della Commissione europea si avverte la necessità d’istituire un Commissario per la difesa, al fine di unificare il processo decisionale politico di un futuro esercito europeo mediante un Organo esecutivo istituzionale predefinito. Evidentemente la strada per realizzare l’obiettivo di un esercito europeo è ancora lunga e accidentata; essa richiede volontà politica, capacità tecnico-operative e finanziarie dedicate, in un’ottica di piena cooperazione, in cui ogni singolo Stato membro ceda parzialmente il terreno del proprio orticello, per poter organizzare uno spazio più ampio dove sviluppare tutto quanto è richiesto per soddisfare le necessità comuni di difesa e sicurezza dell’Europa.

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