La pace: utopia o traguardo possibile?

 

È un quesito che nasce spontaneo in questi giorni in cui siamo inondati di notizie e avvenimenti dai contenuti infausti e drammatici che ci coinvolgono direttamente e indirettamente. Nel nostro fragile pianeta si riteneva che la situazione geopolitica in Europa, creatasi dopo il secondo conflitto mondiale, non venisse più posta in discussione dopo 77 anni di pace. Il modo di vivere e i valori dell’occidente, per alcuni in decadenza, sono stati colpiti nella loro essenza da un’aggressione sconsiderata, volta a stravolgere gli equilibri faticosamente raggiunti. Ora la guerra, con tutte le sue implicazioni, è realmente a casa nostra e richiede a tutti, Stati, istituzioni e cittadini di attuare i provvedimenti necessari, al fine di salvaguardare il bene prezioso della pace. Essa viene definita come una “condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno Stato, di gruppi organizzati, ... sia all’esterno, con altri popoli, altri Stati, altri gruppi” (Cfr. Enc. Treccani). In quest’ ultimo periodo i temi che riguardano la pace e la guerra, sono stati dibattuti nei diversi aspetti e punti di vista dal mondo dell’informazione che con i suoi sofismi ha confuso le idee a molti, anche ai più attenti osservatori. Il Papa, massima autorità etico-religiosa e Capo di Stato, ha sollecitato in più occasioni i potenti e i governanti dei Paesi, coinvolti nei vari conflitti, a riconsiderare il dialogo come via d’uscita dalla follia della guerra e come strumento per realizzare la tanta auspicata convivenza pacifica nel mondo.  Del resto, per realizzare questo sacrosanto diritto dell’uomo, molti studiosi hanno promulgato da tempo il loro pensiero, dal quale vorrei trarre sinteticamente qualche elemento di riflessione.

Nelle teorie volte a conseguire la pace si tende a evidenziare sostanzialmente tre diverse prospettive: quella realistica (basata sull’ equilibrio delle forze e degli strumenti militari), quella etica (fondata sulla capacità umana di rinnovare i propri valori morali), quella istituzionale (costruita sul ruolo del diritto e sulle istituzioni che rappresentano gli Stati). In merito a quest’ultima visione, ritenuta la più pragmatica, Albert Einstein nel 1939 scrisse una celebre lettera a Sigmund Freud, con questo sostanziale suggerimento: «gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra di loro». In effetti la pace conseguita attraverso lo stato di diritto ha origine da una lunga tradizione culturale, da Kant (vds. Trattato sulla pace perpetua) a Norberto Bobbio (vds. Il problema della guerra e le vie per la pace). L’idea fondante di detta tradizione prevede che per garantire la pace, tra due o più parti in conflitto, sia necessario costruire istituzioni giuridiche capaci – cioè con l’autorità necessaria – di decidere sulle ragioni del conflitto stesso. Su questa base ha avuto origine la federazione che ha dato vita agli Stati Uniti d’America e ha ispirato i padri dell’Unione europea fin dal “Manifesto di Ventotene”.  Luigi Einaudi, in un discorso all’Assemblea Costituente, argomentando sul fallimento della Società delle Nazioni, ribadiva che il «mito funesto» della sovranità assoluta degli Stati «è il vero generatore della guerra» e che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa era «l’unico ideale per cui valeva la pena di lavorare» (vds. La guerra e l’unità europea). Anche Bobbio, propugnando il federalismo degli Stati, in numerosi scritti ha insistito sulla necessità di creare quell’Autorità terza la cui assenza è il vero difetto dell’ordinamento internazionale. Senza illusioni sul raggiungimento del risultato in tempi brevi, il filosofo torinese indicava chiaramente la meta alla quale i popoli e gli Stati avrebbero dovuto guardare se volevano davvero garantirsi la pace, tanto più in una condizione di latente guerra nucleare. Senza addentrarci nei contenuti specifici di dette teorie, si può facilmente comprendere quanto gli esseri umani, per la loro natura, abbiano difficoltà a trattare per la pace e, allo stesso tempo, realizzarla sul piano pratico (stante il “Cainismo” individuato da Papa Francesco). Appare anche altrettanto arduo giungere a un patto federativo tra le nazioni, necessario per poter autorizzare un’Autorità terza a intervenire nella composizione dei conflitti. 

Del resto risulta evidente quanto l’ONU, organizzazione sovraordinata agli Stati e costituita per salvaguardare la pace, abbia dimostrato la sua impotenza di fronte alle situazioni conflittuali verificatesi negli ultimi anni, principalmente a causa della sua struttura istituzionale che attribuisce alle maggiori potenze mondiali il diritto di veto sulle sue risoluzioni. E allora che fare? Non c’è dubbio che, se da un lato esiste l’urgenza di contrastare la prepotenza di un invasore verso un Paese sovrano, nel modo in cui è possibile farlo (non solo con le armi), rispondendo con misure idonee per impedire il compimento del suo insensato piano, da un altro lato occorre lavorare seriamente per la costruzione concreta di una Comunità internazionale votata alla pace. Immanuel Kant aiuta a riconoscere alcune altre condizioni per la pace: «la costituzione di ogni Stato dovrebbe essere repubblicana». Infatti solo uno Stato/Governo nel quale siano garantiti la limitazione del potere attraverso istituzioni rappresentative, nonché una serie di diritti per i cittadini, sentirà la necessità di ascoltare il volere del popolo, direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, nel caso di una decisione così cruciale come lo stato di guerra. Inoltre, la mancanza di una cultura della pace in una società evoluta genera cinismo, aggressività, violenza, conflittualità. Pertanto, benché la pace universale trovi evidenti difficoltà di realizzazione, nulla vieta ai singoli cittadini, alle nazioni, alla Comunità internazionale di porre in atto, nei loro ambiti specifici, ogni possibile azione volta al conseguimento di questo irrinunciabile diritto, legato all’esistenza dell’uomo.

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