La Grande Missione

Mantenere accesa la fiamma dei nostri valori è  lo scopo principale della nostra associazione, costituita prevalentemente da Ufficiali in quiescenza, con una lunga esperienza di vita militare. Per meglio comprendere il significato di tale assunto, ritengo che si possa trarre qualche utile riflessione dal contenuto di un’opera letteraria del secolo scorso: “Il deserto dei Tartari”. Il libro è stato scritto da Dino Buzzati, un bellunese, giornalista del Corriere della Sera, nel periodo che precede la seconda guerra mondiale. Egli descrive in modo inquietante e a volte molto critico, ambienti, regole, personaggi,  aspettative del mondo militare. Probabilmente, da giovane sottotenente, aveva colto i lati più discutibili e negativi di questa vita. Ma, nell’insieme, la storia che racconta è la parabola di un Ufficiale che  perde l’entusiasmo iniziale per adattarsi alla routine di un lavoro duro e ripetitivo, fuori dalla realtà, mentre il tempo scorre a sua insaputa, in attesa di qualcosa  (l’arrivo dei Tartari) che deve avvenire. L’evento si verificherà quando egli, ammalato e prossimo alla fine, sarà lontano ed impossibilitato a partecipare alla battaglia  desiderata.
Il  protagonista, Tenente Giovanni Drogo, è assegnato alla Fortezza Bastiani, un avamposto al confine del deserto sottostante, teatro di rovinose incursioni da parte dei Tartari. La fortezza è collocato sulla sommità di una montagna. I militari che la presidiano sono fermamente decisi a difenderla con regole ferree; essi sono sostenuti da un’unica speranza che è lo scopo della loro missione: attendere i Tartari in quel deserto, per combatterli, acquisire gloria, onore e diventare, insomma, eroi. Il giovane Ufficiale avverte subito una contraddizione. Si accorge che dal quel luogo non potrà realizzare i  suoi ideali e, dopo i primi quattro mesi, desidera di andarsene, ma allo stesso tempo, al di fuori della fortezza, nella città, ove risiedono i suoi affetti, non si trova più a suo agio. Così  rimane a vivacchiare lassù  in quel luogo, sospeso tra terra e cielo, fino ad accorgersi, dopo 15 anni, che il tempo è fuggito. Il Maggiore Giovanni Drogo, minato da una grave malattia, è costretto a lasciare la Fortezza per andare a morire, da solo, in un'anonima locanda, in città. Ma egli non muore nella disperazione. Superata, infatti, la rabbia, la delusione, la tentazione di rinnegare tutta la sua vita, egli si convincerà che la Missione Suprema è proprio quella che sta affrontando: la morte «esiliato fra ignota gente», da solo ed abbandonato.
Il testo è ricco di significati metaforici e simbolici. La fortezza è il nostro io, impenetrabile, disumanizzato, nella città ci sono gli altri, gli amici, le persone care. Il deserto è la vita arida e senza valori, con le sue paure e le sue illusioni. In tale quadro, si può leggere un messaggio profondo che riguarda tutti e ciascuno di noi.  E’ sbagliato rinchiudersi nella fortezza del proprio io, distaccandosi dagli altri e abbandonarsi ai riti quotidiani, senza dare un senso alle proprie azioni ed  attendere spasmodicamente che sulla sabbia gialla della vita si verifichi l’evento, per il quale abbiamo dedicato tutte le nostre energie, sperando alfine in una gratificazione che nessun uomo ci darà. Il fluire inesorabile del tempo ci porterà, in ogni caso, come per Giovanni Drogo, verso l’ultima, certa Missione. I nostri ideali non possono mai venir meno per le difficoltà che con il passare degli anni sono destinate ad aumentare. Anche l’Ufficiale protagonista del racconto, alla fine, riscopre l’onore e la dignità e pensa:  “Coraggio, Drogo, questa è l’ultima carta, va incontro alla morte da soldato e che la tua esistenza sbagliata almeno finisca bene. Vendicati finalmente della sorte, nessuno canterà le tue lodi, nessuno ti chiamerà eroe o alcunché di simile, ma proprio per questo vale la pena. Varca con piede fermo il limite dell’ombra, diritto come a una parata, e sorridi anche, se ci riesci. Dopo tutto la coscienza non è troppo pesante e Dio saprà perdonare.”

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